Spunti di riflessione
per un'educazione ambientale
fuori dallo schema antropocentrico
Il
ruolo dell'educazione ambientale è andato via via crescendo in
maniera direttamente proporzionale alla distruzione del pianeta: un
lento e sempre maggiore tentativo da parte dell'essere umano di
spiegare le cause di quella distruzione da lui stesso innescata,
proporre e condividere soluzioni per riemergere dalla distruzione
galoppante e, non per ultimo, mirare alla conoscenza dell'ecosistema
naturale, alla sua bellezza, complessità, ricchezza. Questo potrebbe
essere un discreto quadro degli obiettivi che l'educatore/educatrice
ambientale si prefigge varcando la soglia dell'ambiente scolastico
che, nella maggior parte dei casi, ospita queste attività educative.
Ma quali sono gli strumenti per veicolare questi messaggi?
“I
delicati equilibri del pianeta non sono solo risorse da preservare
saggiamente per un loro sfruttamento sostenibile ora e per le
generazioni future, ma anche elementi preziosi in sé, unici
nell’Universo”. Quando ho l'occasione di confrontarmi sulle
applicazioni pratiche dell'educare all'ambiente, mi piace ricordare
questa pubblica affermazione citata nelle ”Linee guida per
l’educazione ambientale” dell’APAT (2004). Gli elementi di un
ecosistema, sono preziosi in sé e non rispetto all'uso
antropico che se ne fa, sia anche esso di natura “sostenibile”.
L'importanza degli elementi in quanto tali è fondamentale in
un'ottica di preservazione e salvaguardia della Natura e di vero
rispetto della stessa, senza voler con questo negare che esistono
ovvi rapporti di reciproco interesse tra specie. I bambini alla
domanda “perché un albero è importante?” hanno comunemente
un'unica risposta, ovvero “ perché ci danno l'ossigeno”. Come
dare loro torto? E' universalmente accettato che la fotosintesi
clorofilliana è un meccanismo che genera ossigeno ed è ugualmente
noto che il nostro organismo, in assenza di questo gas, andrebbe
incontro alla morte. In questo ragionamento manca un dettaglio: gli
alberi sono preziosi in sé. Mi chiedo quanto le risposte di questi
bambini siano corrotte da una cultura antropocentrica, che direziona
ogni significato di importanza sulla base del vantaggio in
termini umani che se ne può ricavare. La seconda risposta che alcuni
bambini avanzano, infatti, è la seguente “perché ci danno la
carta”. Sono convinta che alla base di queste risposte vi sia un'
imperante educazione all'egocentrismo e un'immagine della Natura
bella e difendibile solo se utile e sfruttabile. Non possiamo certo
negare che gli organismi appartenenti al Regno delle piante svolgano
la fondamentale funzione di produttori di ossigeno, ma questo ruolo
esaurisce il significato che possiamo dar loro di importanza? Come
può l'immaginario dei un bambino essere tanto manipolato da non
permettergli di formulare risposte del tipo “perché da riparo a
molti animali” oppure “perché i picchi possono trovarvi il loro
cibo” o ancora “perché con le loro radici mantengono ben salda
la terra” o, se vogliamo entrare nella sfera favolistica, “perché
ha ispirato bellissime leggende” oppure “perché è possente e da
sicurezza” e chissà quante altre formulazioni.
L'era
della plastica in cui viviamo è fortemente connessa a questo
ragionamento: l'era “usa e getta”, dove è più facile gettare
via che dare valore, dove rapidamente e senza pensarci due volte si
getta via quello che non serve, con una sprezzante indifferenza per i
processi a monte e a valle che caratterizzano la produzione e lo
smaltimento del materiale plastico. Come presentare ai bimbi
l'importanza di un albero in quanto albero, in quanto organismo
vivente degno di rispetto come ogni altra forma vivente se questi
stessi bimbi nascono nell'era del consumismo e nell'indifferenza più
sfrenati? Ma è da questo che bisogna partire: accompagnare i bimbi
ad apprezzare gli elementi naturali in quanto tali e in quanto
reciprocamente connessi. Per farlo i bimbi avrebbero bisogno di un
contatto diretto con la Natura selvatica che possa essa stessa,
attraverso l'esperienza e l'osservazione, insegnare le regole di
equilibrio ecosistemico dove ogni organismo, dalla muffa all'ape, dal
lichene alla zanzara, dal fiore al gabbiano, ha un proprio ruolo
fondamentale. Purtroppo un errore generalizzato che nasce con la
volontà di procedere in questa direzione ma, a mio avviso,
retrocedendo rispetto all'obiettivo stesso, è quello di portare la
Natura selvatica al bambino. Un esempio per tutti: i girini a scuola.
Questo comportamento è fortemente diseducativo in quanto pregno di
prepotenza specista nei confronti degli altri animali. Strappare una
rana, un lombrico o qualsiasi altra forma di vita senziente dal suo
ambiente naturale, equivale ad educare al concetto per cui: “io, in
quanto umano, posso disporre a mio piacimento di ciò che voglio,
posso decidere di farlo quando voglio in quanto essere superiore”.
Con buone probabilità, la rana o il lombrico non moriranno e non
sarà loro inflitta nessuna tortura, sebbene i bimbi siano
istintivamente capaci di azioni sadiche, ma rimarrà un contenuto
educativo: quello della prevaricazione verso le altre forme di vita.
Ritengo
che per conoscere, rispettare e amare le altre forme di vita, sia
opportuno osservarle nel loro ambiente naturale, quando e come è
possibile. Se un nido di uccelli è mascherato alla mia vista dal
fogliame dell'albero che lo accoglie, non andrò a prenderlo per
mostrarlo ai miei allievi, ma attenderò i tempi e i modi affinché
questi possano gioirne vedendolo. Non preleverò tutti i
macro-invertebrati del torrente per analizzare i loro adattamenti
alla vita acquatica, ma inventerò una lente di immersione, in grado
di osservarli nel luogo in cui essi abitano. In questo modo, senza
prevaricazione, adotterò un metodo che è esso stesso educativo e
coerente con l'obbiettivo dell'educazione ambientale.
Arianna
Abis