Un’aula a cielo aperto

La scuola a cielo aperto è fuori, 
dove la vita sboccia e l'osservazione e l'esperienza sono i veri maestri.
 
Immagine tratta da "Storia di carta" realizzata per il teatrino Kamishibai

Un prato qualunque è una scuola. Un lembo di prato è un'aula a cielo aperto, dove ogni piccolo elemento è una scoperta agli occhi di un bimbo. Un prato in estate è ancora qualcosa di più: è un laboratorio didattico, in cui minuscole creature dedite alla vita, svegliate dai raggi caldi del sole, si ingegnano perché il loro istinto di sopravvivenza venga saziato.
La Natura si deve annusare, ascoltare, osservare e percepire dall'interno. Solo così il puzzle di componenti dell'ecosistema può manifestarsi nella sua completezza e rendersi chiara l'idea di quanto ognuno di quei frammenti di vita abbia bisogno di tutti gli altri per esistere. Quando ci troviamo in un'aula a cielo aperto, ricordiamoci di camminare in punta di piedi, di non urlare e di non rovinare con la nostra presenza l'armonia dell'ecosistema. Ricordiamoci di dare importanza ad ogni minimo dettaglio e portare rispetto per le altre forme di vita, micro o macro-scopiche che siano. Il nostro atteggiamento, vale più di mille parole.


La fabbrica del miele


<Sveglia dormiglione! E' ora di alzarsi!>. Mentre Zahir si stiracchiava sul letto, la mamma metteva in tavola torta e biscotti appena sfornati, spremuta d'arancia e una colorata macedonia. <Mmm... che buona questa colazione mamma!>, commentava il bambino tra un biscotto e l'altro. <Sai mamma, a scuola ci hanno parlato del miele. Ma il miele che cos'è? Dove viene fabbricato?>. <Che cos'è il miele?!>, rispose stupita la mamma. <Io non lo so! La maestra ci ha detto che il miele è un alimento sano, gustoso e viene fatto per noi! Allora mi sono chiesto... come mai a casa io non l'ho mai visto? Perché noi non lo usiamo?>. <Se vuoi sapere cos'è il miele, sbrigati a finire la colazione Zahir... andiamo a trovare le operaie!>. Così, Zahir e la mamma s’incamminarono sul sentiero che porta ai campi. La primavera si percepiva nei colori e negli odori, e tutte le piccole creature dei prati sembravano avere un gran da fare. <Mamma... ma dove stiamo andando? A visitare la fabbrica del miele?>. <Qualcosa del genere...>, rispose la mamma sorridendo. <Ma qui non ci sono fabbriche! Ci sono campi, boschi, fiori e animali!>. La mamma strinse tra le braccia il bambino e, guardandolo negli occhi, gli disse: <Queste fabbriche sono molto diverse dalle nostre, sai? Non emettono fumi, né tanto meno rifiuti>. Zahir proprio non capiva dove si trovasse la fabbrica del miele... fin quando la mamma indicò un fiore su cui danzava un piccolo insetto. <Siedi Zahir, voglio raccontarti una storia…>.
E la mamma cominciò: <Quel piccolo insetto che vedi ronzare intorno al fiore, si chiama ape. Le api sono degli animali eccezionali e, osservandoli, gli uomini appassionati di natura, si meravigliano di quanto il mondo naturale possa essere misterioso e fantastico e di quanto le creature viventi siano ingegnose. Le api, come molti altri insetti, si avvicinano ai fiori per trarne nutrimento sotto forma di nettare. Il fiore, a sua volta, gradisce particolarmente la visita del piccolo animale alato, in quanto l'insetto diviene un mezzo per spargere il polline. Questo processo si chiama impollinazione. Infatti, mentre l'ape si intrufola nel fiore alla ricerca del prezioso nettare, il suo corpo si sporca di polline. I granuli di polline cadranno dal corpo al primo volo, raggiungendo così altre piante dello stesso tipo. I fiori visitati dalle api hanno colori, forme e segnali caratteristici che sfuggono all’occhio umano, ma sono invece ben visibili ai loro occhi. E' un po' come se i fiori invitassero le api a raggiungerli con indicazioni dal significato: “Attenzione! qui scorpacciate di nettare!”. Possiamo dire che le api e i fiori da cui traggono nutrimento, cercano entrambi di migliorare per raggiungere il loro scopo e, così, si specializzano di pari passo>.

<Ma è fantastico!>, interruppe Zahir osservando l'ape sporca di polline indaffarata a raggiungere l'interno del fiore di rosmarino. <Guarda mamma! Sembra che questa linguetta che esce dal fiore si pieghi apposta per sporcare l'ape di polline!>. <E' proprio così Zahir! Quella “linguetta” si chiama stame ed è la struttura del fiore che produce il polline>.

Continuando ad osservare con grande meraviglia i tuffi dell'ape nel fiore, la mamma proseguì:
<Esistono tanti tipi di animali sul pianeta Terra ed ognuno di loro ha trovato un suo modo per sopravvivere. Alcuni vivono in solitudine o in piccoli gruppi, mentre altri amano vivere insieme in gruppi molto numerosi e suddividersi i compiti. Le api sono tra questi ultimi, come le formiche o le termiti. Sono animali sociali e vivono in stretto contatto in un grande nido: l'alveare. L'alveare è composto da tante piccole cellette esagonali, in cui vengono deposte le uova e conservato il cibo. Quella che abbiamo di fronte è un'ape operaia e, nella colonia da cui proviene, ci sono numerose api come lei. Le operaie sono tutte femmine e dedicano la loro vita a servire la colonia. Darebbero la vita per difenderla! In particolare, questa è un'ape operaia bottinatrice, ovvero un'ape che si dedica alla raccolta di nettare, polline e melata: gli ingredienti del loro cibo. Solo le api molto esperte possono lasciare la colonia per raggiungere i prati! E sono anche quelle più anziane. Le altre api operaie rimangono a casa e si dedicano alle altre attività: puliscono le celle dove verrà conservato il cibo, preparano la cera con cui creare nuovi reparti, nutrono le piccole api in crescita, ne sigillano le stanzette durante il periodo in cui si trasformano in adulti, fanno la guardia all'ingresso dell’alveare, scacciano gli intrusi e accudiscono l'ape regina>. <Vuoi dire... una vera regina?>, chiese Zahir. <Certamente! Ma senza inutili gioielli. L'importanza della regina non risiede nei suoi averi, ma nella capacità di fare figli. Può produrre fino a 2000 uova in un solo giorno>. <Perché, le altre femmine operaie non possono fare i figli?>, chiese incredulo il bimbo. <No, non ne sono capaci. Ma crescono i figli della regina come fossero i loro. Dalle uova della regina possono nascere api femmine o maschi. I maschi, chiamati fuchi, non hanno il pungiglione ed hanno una vita breve, inoltre sono incapaci di nutrirsi e vengono alimentati dalle operaie. La maggior parte delle femmine diventeranno operaie e solo alcune vivranno da regine. Questo dipende dal cibo con cui vengono cresciute. In un alveare esiste un'unica regina e solo quando questa muore o sciama in cerca di un nuovo nido, le operaie nutrono le larve con il cibo da re, anzi... da regina: la pappa reale. Tutti gli altri individui della colonia, invece, si nutrono di miele>. <Il miele! il miele!>, urlava Zahir. <Eccoci al miele... le api bottinatrici recuperano il nettare dai fiori e lo inghiottono. Raccolgono anche il polline, trasportandolo in speciali cestelli sulle loro zampette. L'altro ingrediente che recuperano, è la melata, una sostanza molto dolce prodotta da altri piccoli insetti che, mentre si nutrono della linfa delle piante, defecano la parte zuccherina in eccesso. La melata e il nettare serviranno entrambi per produrre il miele. Con questo prezioso carico, le api bottinatrici tornano alla colonia, dove rigurgiteranno il bottino mischiandolo con sostanze digestive, per poi affidarlo ad altre api operaie. Dopo aver depositato nelle cellette anche il polline, le bottinatrici ripartono per la loro missione di raccolta nei prati. Essendo il miele inizialmente troppo ricco di acqua, le ingegnose operaie creano delle correnti di aria con le loro ali, in modo da far evaporare l'acqua in eccesso. A questo punto il miele è pronto e la celletta che lo contiene, viene chiusa con un tappo di cera. <Mamma, il miele è il cibo del api?>. Interruppe di colpo il bambino. <Si Zahir>, rispose la mamma. <Il nettare è stato raccolto individuando i segnali dei fiori, poi è stato ingoiato e trasportato nel corpo dell'ape, rigurgitato e trasformato in miele, il quale è stato asciugato e custodito nella loro casa per nutrire tutti i componenti della colonia?>. <E' esatto>, rispose ancora la mamma. <Dopo tutta questa fatica mamma... perché il miele dovremmo mangiarlo noi?>. Chiese istintivamente il bimbo. <E' proprio per questo che a casa non hai mai trovato il miele. Le api lavorano intensamente perché le loro scorte di cibo siano assicurate. Il miele non è prodotto per noi, ma per tutti i componenti della colonia che insieme si comportano come fossero un unico organismo vivente>, rispose la mamma mentre accarezzava il bambino. L'ape bottinatrice che avevano di fronte prese allora il volo, scomparendo nell'aria tiepida della primavera, carica del suo dolce bottino da condividere con tutti gli abitanti dell'alveare.

Spunti di riflessione 
per un'educazione ambientale 
fuori dallo schema antropocentrico

 


Il ruolo dell'educazione ambientale è andato via via crescendo in maniera direttamente proporzionale alla distruzione del pianeta: un lento e sempre maggiore tentativo da parte dell'essere umano di spiegare le cause di quella distruzione da lui stesso innescata, proporre e condividere soluzioni per riemergere dalla distruzione galoppante e, non per ultimo, mirare alla conoscenza dell'ecosistema naturale, alla sua bellezza, complessità, ricchezza. Questo potrebbe essere un discreto quadro degli obiettivi che l'educatore/educatrice ambientale si prefigge varcando la soglia dell'ambiente scolastico che, nella maggior parte dei casi, ospita queste attività educative. Ma quali sono gli strumenti per veicolare questi messaggi?


I delicati equilibri del pianeta non sono solo risorse da preservare saggiamente per un loro sfruttamento sostenibile ora e per le generazioni future, ma anche elementi preziosi in sé, unici nell’Universo”. Quando ho l'occasione di confrontarmi sulle applicazioni pratiche dell'educare all'ambiente, mi piace ricordare questa pubblica affermazione citata nelle ”Linee guida per l’educazione ambientale” dell’APAT (2004). Gli elementi di un ecosistema, sono preziosi in sé e non rispetto all'uso antropico che se ne fa, sia anche esso di natura “sostenibile”. L'importanza degli elementi in quanto tali è fondamentale in un'ottica di preservazione e salvaguardia della Natura e di vero rispetto della stessa, senza voler con questo negare che esistono ovvi rapporti di reciproco interesse tra specie. I bambini alla domanda “perché un albero è importante?” hanno comunemente un'unica risposta, ovvero “ perché ci danno l'ossigeno”. Come dare loro torto? E' universalmente accettato che la fotosintesi clorofilliana è un meccanismo che genera ossigeno ed è ugualmente noto che il nostro organismo, in assenza di questo gas, andrebbe incontro alla morte. In questo ragionamento manca un dettaglio: gli alberi sono preziosi in sé. Mi chiedo quanto le risposte di questi bambini siano corrotte da una cultura antropocentrica, che direziona ogni significato di importanza sulla base del vantaggio in termini umani che se ne può ricavare. La seconda risposta che alcuni bambini avanzano, infatti, è la seguente “perché ci danno la carta”. Sono convinta che alla base di queste risposte vi sia un' imperante educazione all'egocentrismo e un'immagine della Natura bella e difendibile solo se utile e sfruttabile. Non possiamo certo negare che gli organismi appartenenti al Regno delle piante svolgano la fondamentale funzione di produttori di ossigeno, ma questo ruolo esaurisce il significato che possiamo dar loro di importanza? Come può l'immaginario dei un bambino essere tanto manipolato da non permettergli di formulare risposte del tipo “perché da riparo a molti animali” oppure “perché i picchi possono trovarvi il loro cibo” o ancora “perché con le loro radici mantengono ben salda la terra” o, se vogliamo entrare nella sfera favolistica, “perché ha ispirato bellissime leggende” oppure “perché è possente e da sicurezza” e chissà quante altre formulazioni.

L'era della plastica in cui viviamo è fortemente connessa a questo ragionamento: l'era “usa e getta”, dove è più facile gettare via che dare valore, dove rapidamente e senza pensarci due volte si getta via quello che non serve, con una sprezzante indifferenza per i processi a monte e a valle che caratterizzano la produzione e lo smaltimento del materiale plastico. Come presentare ai bimbi l'importanza di un albero in quanto albero, in quanto organismo vivente degno di rispetto come ogni altra forma vivente se questi stessi bimbi nascono nell'era del consumismo e nell'indifferenza più sfrenati? Ma è da questo che bisogna partire: accompagnare i bimbi ad apprezzare gli elementi naturali in quanto tali e in quanto reciprocamente connessi. Per farlo i bimbi avrebbero bisogno di un contatto diretto con la Natura selvatica che possa essa stessa, attraverso l'esperienza e l'osservazione, insegnare le regole di equilibrio ecosistemico dove ogni organismo, dalla muffa all'ape, dal lichene alla zanzara, dal fiore al gabbiano, ha un proprio ruolo fondamentale. Purtroppo un errore generalizzato che nasce con la volontà di procedere in questa direzione ma, a mio avviso, retrocedendo rispetto all'obiettivo stesso, è quello di portare la Natura selvatica al bambino. Un esempio per tutti: i girini a scuola. Questo comportamento è fortemente diseducativo in quanto pregno di prepotenza specista nei confronti degli altri animali. Strappare una rana, un lombrico o qualsiasi altra forma di vita senziente dal suo ambiente naturale, equivale ad educare al concetto per cui: “io, in quanto umano, posso disporre a mio piacimento di ciò che voglio, posso decidere di farlo quando voglio in quanto essere superiore”. Con buone probabilità, la rana o il lombrico non moriranno e non sarà loro inflitta nessuna tortura, sebbene i bimbi siano istintivamente capaci di azioni sadiche, ma rimarrà un contenuto educativo: quello della prevaricazione verso le altre forme di vita.

Ritengo che per conoscere, rispettare e amare le altre forme di vita, sia opportuno osservarle nel loro ambiente naturale, quando e come è possibile. Se un nido di uccelli è mascherato alla mia vista dal fogliame dell'albero che lo accoglie, non andrò a prenderlo per mostrarlo ai miei allievi, ma attenderò i tempi e i modi affinché questi possano gioirne vedendolo. Non preleverò tutti i macro-invertebrati del torrente per analizzare i loro adattamenti alla vita acquatica, ma inventerò una lente di immersione, in grado di osservarli nel luogo in cui essi abitano. In questo modo, senza prevaricazione, adotterò un metodo che è esso stesso educativo e coerente con l'obbiettivo dell'educazione ambientale.



Arianna Abis


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